Una delle cose più difficili per chi fa azienda, ritengo sia quella di prendere decisioni. Ogni giorno della nostra vita si presentano opportunità più o meno palesi sulle quali, poi, dovremo attuare delle scelte: si chiama “costo opportunità”, ovvero il fatto di dover prendere in considerazione qualcosa a discapito di qualcosa d'altro che dovrà essere lasciato da parte o, addirittura, scartato.
Ma la cosa più difficile in assoluto non è la fase decisionale, quanto quella della sua messa in opera, quella che prevede che ciò che si è deciso, ciò che è il risultato di una scelta ponderata, venga portato a termine con le logiche conseguenze del caso: tutto non si può avere e a qualcosa bisogna, per l'appunto, rinunciare.
Parliamo di ciò che sta accadendo alla distribuzione, di ciò che chiamerò “lo stato del settore” e che vedo in grave pericolo. Anzi… direi gravissimo.
Guardandolo da un'angolazione macro si può vedere che le agenzie sono tante (troppe?), sono di piccole dimensioni, sono sotto capitalizzate, hanno difficoltà ad accedere al credito. Nella maggior parte dei casi sono a gestione familiare, gestite da persone oneste, buone ma fortemente carenti di spirito imprenditoriale e manageriale a causa della mancanza di tempo, di opportunità e, soprattutto, di quella malsana abitudine che ci porta a rimandare le decisioni ad altro momento perché, oggi, si è troppo impegnati per poter rinunciare a qualcosa, seppure di piccola entità.
L'unione fa la forza. Questa frase, fatta e strafatta - che io definisco trita e ritrita - non calza, ci sta stretta. Nel nostro settore non si è assolutamente uniti. si continua a pensare che la concorrenza arrivi dal nostro “vicino di banco” che non si limita a copiare il compito, ma lo migliora, e ci frega il voto, scordando sempre che la concorrenza invece arriva dall'alto, e se questo capita è proprio perché il mercato si evolve, i gusti cambiano, il consumatore non oppone alcuna difficoltà all'atto di scegliere. Noi, invece, si. Molta. E la cosa triste è che “…nessuno fa niente per noi, nessuno ci aiuta…” ( frase completamente fallace ma ripetuta molte volte in sostituzione di un più corretto mea culpa).
Nessuno ci aiuta, le soluzioni nessuno le trova, e questo perché siamo tutti incapaci di condividere ma bravissimi nel voler comandare. Si ripete spesso “…le nostre aziende, seppure di piccole dimensioni, sono nostre! Per quale motivo dovremmo accettare dei diktat dall'alto?”.
Io penso che il motivo di questa mancanza di unione risieda nel fatto che ogni agente, ogni piccolo “imprenditore”, non sia più capace di ascoltare ma solo voglioso di intervenire. Però... Giunto al momento di dover mettere in campo il frutto della propria determinazione, il “nostro” preferisce evitare di sporcarsi le mani aspettando che qualche “soldato sceso in trincea” ritorni portando buone nuove. E presto, in fretta, perché è chiaro ai più che non c'è un briciolo di tempo da perdere, visto e considerato che ne è stato già buttato via troppo, di questo nostro tempo.
Purtroppo trascuriamo di riflettere sulle conseguenze di aver lasciato agli altri il compito di combattere mentre noi, comodi, seduti sulle nostre poltrone, stavamo li a guardare come dei "Generali", come dei "Manager" (manus agere) in attesa che la truppa tornasse a casa.
Cari amici miei, non è più tempo di guardare ma di combattere. Se davvero desideriamo conquistarci quel fazzoletto di terreno che ci permetta di vedere l'alba di un domani, sarà bene che impariamo velocemente ad essere soldati, che impariamo le regole e dismettiamo quegli abiti da generale che ci siamo confezionati su misura, pur senza meritarli. Per questo, amici, dico “salviamo il soldato Ryan”.
Juan Pablo Grando
